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ALESATURA

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L'alesatura è una lavorazione meccanica per correggere lievemente l'assialità e il diametro dei fori, chiamato alesaggio, precedentemente realizzati con il trapano. Si esegue a mano con gli alesatori montati sul giramaschi oppure a macchina con l'alesatrice.

Il moto rotatorio dell'alesatore aumenta il diametro del foro e lo porta pian piano al valore corretto, eventualmente variando la posizione dell'asse. Per alesare fori cilindrici e conici all'utensile viene impresso un moto di traslatura parallela all'asse.

Per approfondire, vedi la voce officina (meccanica).


Caratteristiche
L'alesatura è un'operazione di finitura leggera, che viene eseguita utilizzando un utensile multitagliente in grado di lavorare fori con un'elevata precisione, inoltre si ottengono ottime finiture superficiali e tolleranze dimensionali strette, le quali sono ottenute con un'elevata velocità d'avanzamento, ma questa lavorazione deve essere eseguita con un foro prelavorato entro limiti stretti, dato che la profondità del taglio radiale dell'utensile deve essere piccola.


Alesatura a mano
Si usano alesatori a mano con codolo ad attacco quadro montati sul giramaschi a manubrio, meglio se regolabile. Si accosta l'imbocco dell'utensile al foro e lo si introduce con attenzione di una quantità sufficiente a garantirne la guida e l'assialità, poi si ruota l'utensile in senso orario applicando una leggera spinta parallela all'asse per agevolare la traslazione nel foro che deve procedere con regolarità e senza strappi o impuntamenti. Nel caso di fori passanti bisognerà procedere sin quando l'utensile non sia completamente uscito dalla parte opposta; per i fori ciechi bisognerà invece impiegare una serie di alesatori di diametro via via crescente. La lubrificazione con olio da taglio o altro opportuno lubrificante è sempre consigliata, soprattutto nel caso di fori lunghi o qualora s'intenda allargare sensibilmente il diametro. A fine lavoro si ripulisce tutto con aria compressa assicurandosi che il truciolo sia completamente evacuato.

Per fori a sezione quadrata o rettangolare o comunque non rotonda si usano speciali alesatori chiamati brocce e l'operazione prende il nome di brocciatura.

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ANODIZZAZIONE

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


L'anodizzazione (detta anche ossidazione anodica) è un processo elettrochimico irreversibile mediante il quale uno strato protettivo di ossido di alluminio si forma sulla superficie del particolare trattato e lo protegge dalla corrosione. Nel materiale avviene una vera e propria trasformazione superficiale: il metallo nudo reagisce con l'ossigeno che si sviluppa all'anodo durante il processo di elettrodeposizione e forma ossido di alluminio o allumina. Lo strato di materiale formato è variabile (normalmente 10 µm), esistono due tipi di ossidazione anodica: quella sottile che comporta uno stato variabile dagli 8 ai 20 micron e quella dura che comporta uno strato dai 20 ai 50 micron.


Fasi del trattamento
Il trattamento è costituito dai seguenti passaggi: sgrassaggio , eventuale satinatura chimica, depatinatura, ossidazione anodica, neutralizzazione, eventuale colore, fissaggio e asciugatura.

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ARIA COMPRESSA

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


L'aria compressa è aria atmosferica compressa con un compressore alternativo o con una pompa e immagazzinata in un serbatoio oppure utilizzata subito. Serve per azionare utensili pneumatici e per soffiare, gonfiare, ripulire da polvere o limatura metallica. Talvolta è deumidificata prima di raggiungere il serbatoio con un deumidificatore installato all'uscita del compressore per scongiurare la condensa, che può causare ruggine e danni ai servomeccanismi. Dal serbatoio si distribuisce con tubature di plastica o metallo (di solito rame) verso i regolatori di pressione e i rubinetti a valvola a sfera dai quali si preleva con tubazioni flessibili per gli usi più disparati. Presso il serbatoio e i rubinetti di distribuzione è comune trovare manometri per il controllo della pressione e valvole di sicurezza. Eventuali nebulizzatori d'olio lubrificano i meccanismi degli utensili grazie al trasporto di minute goccioline attraverso l'aria.
Per l'hobbystica sono disponibili piccoli compressori trasportabili e bombolette spray.

Utilizzo
L'aria compressa si usa in innumerevoli casi. Per esempio in officina per azionare utensili automatici come la pistola avvitatrice oppure per gonfiare gli pneumatici degli autoveicoli o per pulire, anche per verniciare a spruzzo; in falegnameria per utensili come la pistola sparachiodi; nei laboratori di ottica per la sospensione dei tavoli antivibrazioni e per la pulizia delle superfici ottiche; nelle macchine utensili per l'azionamento di valvole e martinetti; nei cantieri edilizi per i martelli pneumatici. Molto nota è la pompa per bicicletta, a mano o a pedale. Ormai quasi scomparsa ma un tempo assai diffusa è la posta pneumatica: l'aria spinge un recipiente che contiene ll lettere o altri oggetti attraverso un sistema di tubi fino al destinatario. Si fa notare che l'aria compressa è utilizzata largamente nel mondo ferroviario per l'attuazione del sistema frenante e per innumerevoli altri usi (porte automatiche, toilette).

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BURATTATURA

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La burattatura (o barilatura) è una lavorazione meccanica di finitura superficiale.

Tipicamente usata per la rimozione meccanica di residui di substrato, in particolare bava, dovuti alla lavorazione come stampaggio, fusione. Particolarmente adatta per dare una finitura superficiale ad un numero elevato di pezzi, di piccole dimensioni.

Avviene per rotolamento e urto dei pezzi in un barile (buratto) ed eventualmente di materiale abrasivo sagomato allo scopo, che velocizza l'operazione. Eventualmente la lavorazione può essere fatta pure in immersione di liquido, con lo scopo di prevenire attacchi chimici. La velocita di rotazione del barile influenza la rapidità di lavorazione.

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CARBONIO (FIBRA)

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Fibra di carbonio

Un tessuto costituito da filamenti di carbonio intrecciati.La fibra di carbonio è una struttura filiforme, molto sottile, realizzata in carbonio con la quale si costruiscono una grande varietà di materiali detti compositi in quanto le fibre sono "composte" ovvero unite assieme ad una matrice, in genere di resina (ma può essere in metallo o in plastica) la cui funzione è quella di tenere in "posa" le fibre resistenti (affinché mantengano la corretta orientazione nell'assorbire gli sforzi), di proteggere le fibre ed inoltre di mantenere la forma del manufatto composito. Per la realizzazione di strutture in composito le fibre di carbonio vengono dapprima intrecciate insieme a organizzare veri e propri panni in tessuto di carbonio e poi, una volta messi in posa, vengono immersi nella matrice. Tra le sue caratteristiche spiccano l'elevata resistenza meccanica, la bassa densità, la capacità di isolamento termico, resistenza a variazioni di temperatura e all'effetto di agenti chimici, buone proprietà ignifughe. Di contro il materiale risulta non omogeneo e presenta spesso una spiccata anisotropia, ovvero le sue caratteristiche meccaniche hanno una direzione privilegiata.

Storia
La prima fibra di carbonio ad alte prestazioni fu creata dal Dr. Roger Bacon, fisico e scienziato dei materiali presso il Parma Technical Center, Ohio, nel 1958. Il materiale creato da Bacon consisteva principalmente in sottili filamenti di grafite disposti in fogli o in rotoli; i fogli si estendevano in modo continuo sull'intera lunghezza del filamento di grafite. Dopo avere sviluppato la fibra di carbonio, Bacon stimò il costo della produzione di fibre ad alta prestazione a "10 milioni di dollari per libbra". Il materiale creato da Bacon rappresentò una scoperta di notevole rilievo a quell'epoca, e gli scienziati e gli industriali furono determinati nel trovare una metodica produttiva efficiente e meno costosa.


Il 14 gennaio 1969 la Carr Reinforcements produsse il primo tessuto in fibra di carbonio esistente al mondo.

Sintesi
Un metodo comune per ottenere i filamenti di carbonio consiste nell'ossidazione e pirolisi termica del poliacrilonitrile (PAN), un polimero a base di acrilonitrile utilizzato anche per la produzione di materie plastiche. Il PAN viene riscaldato approssimativamente alla temperatura di 300 °C in presenza di aria, con il risultato di ottenere l'ossidazione e la rottura di molti legami idrogeno instauratisi tra le lunghe catene polimeriche. Il prodotto dell'ossidazione viene quindi posto in una fornace e riscaldato a circa 2000 °C in atmosfera di gas inerte, come quella di argon, ottenendosi in tal modo un cambiamento radicale della struttura molecolare con formazione di grafite. Effettuando il processo di riscaldamento nelle corrette condizioni richieste, si ha la condensazione delle catene polimeriche con produzione di ristretti fogli di grafene che eventualmente possono fondersi generando un singolo filamento. Il risultato finale consiste solitamente nell'ottenimento di un materiale con contenuto in carbonio variabile tra il 93-95%. Fibre di qualità inferiore possono essere prodotte utilizzando pece o rayon quali precursori in sostituzione del PAN. Le proprietà meccaniche della fibra di carbonio possono essere ulteriormente migliorate sfruttando opportuni trattamenti termici. Riscaldando nell'intervallo di 1500-2000 °C (carbonizzazione) si ottiene un materiale con il più alto carico di rottura (5650 MPa), mentre la fibra di carbonio riscaldata a 2500-3000 °C (grafitizzazione) mostra un modulo di elasticità superiore (531 GPa).

Struttura e proprietà
Un filamento di carbonio del diametro di 6 μm (che si estende da sinistra in basso a destra in alto) a confronto con un capello umano.Le fibre di carbonio hanno proprietà molto simili all'asbesto. Ogni intreccio di filamenti di carbonio costituisce un insieme formato dall'unione di molte migliaia di filamenti. Un singolo tale filamento ha sottile forma cilindrica del diametro di 5-8 μm e consiste quasi esclusivamente di carbonio.

La struttura atomica della fibra di carbonio è simile a quella della grafite, consistendo in aggregati di atomi di carbonio a struttura planare (fogli di grafene) disposti secondo simmetria esagonale regolare. La differenza consiste nel modo in cui questi fogli sono interconnessi. La grafite è un materiale cristallino in cui i fogli sono disposti parallelamente l'uno rispetto all'altro formando una struttura regolare. I legami chimici che si instaurano tra i fogli sono relativamente deboli, conferendo alla grafite la sua caratteristica delicatezza e fragilità. In funzione della materia prima utilizzata per produrre la fibra, la fibra di carbonio può essere turbostratica o grafitica, ovvero possedere una struttura ibrida in cui sono presenti sia parti turbostratiche che grafitiche. Nella fibra di carbonio turbostratica, ovvero con struttura cristallina formata da piani ciascuno deviato lateralmente rispetto all'altro, i fogli di atomi di carbonio sono uniti in modo casuale o ripiegati insieme. Le fibre di carbonio ottenute dal PAN sono turbostratiche, mentre le fibre di carbonio derivate dalla mesofase pece sono grafitiche dopo riscaldamento a temperature superiori a 2200 °C. Le fibre di carbonio turbostratiche tendono ad avere maggior carico di rottura, mentre le fibre derivate dalla mesofase pece sottoposte a trattamento termico possiedono elevata elasticità (modulo di Young) ed elevata conducibilità termica.


Usi
La fibra di carbonio è prevalentemente utilizzata per rinforzare i materiali compositi, in particolar modo i polimeri plastici. Un altro utilizzo sfrutta il conferimento di un certo valore estetico a vari prodotti di consumo.

Sfruttandone le caratteristiche di resistenza e leggerezza del peso, la fibra di carbonio viene utilizzata per la produzione delle casse degli orologi e del quadrante. Nella fabbricazione degli orologi, il materiale è spesso combinato con un polimero per aumentarne la resistenza.

Materiali non polimerici possono essere utilizzati anche in funzione di matrice per le fibre di carbonio. A causa della formazione di carburi (per esempio il carburo di alluminio, idrosolubile) e a problematiche legate a fenomeni di corrosione, l'utilizzo del carbonio in compositi a matrice metallica è poco sviluppato. Il carbonio-carbonio (RCC, Reinforced Carbon-Carbon) consiste in un rinforzo di fibra di carbonio in una matrice di grafite e viene utilizzato in applicazioni che richiedono l'esposizione a temperature elevate, come nel caso degli scudi termici dei veicoli spaziali o dei freni delle auto di Formula 1. Questo materiale è utilizzato anche per la filtrazione di gas ad alta temperatura, come elettrodo a elevata area superficiale e resistente alla corrosione, e come componente antistatico.

La fibra di carbonio è utilizzata anche nei recipienti per gas compressi, inclusi quelli per l'aria compressa.

Molto raramente si usano lastre piane di composito piegandole a caldo, viene infatti preferita al tecnica di polimerizzazione delle resine direttamente su uno stampo, impregnando ogni strato di tela di fibra alla volta, spesso comprimendo il tutto per migliorare l'uniformità dello spessore


Industria tessile
In relazione al loro modulo di elasticità, esistono differenti categorie di fibre di carbonio: con modulo basso (fino a 200 GPa), modulo standard (200-250 GPa), modulo intermedio (250-325 GPa) e modulo elevato (>325 GPa).[6] La resistenza meccanica dei differenti tipi di filato varia tra 2-7 GPa. La densità tipica della fibra di carbonio è 1750 kg/m3.

Gli intrecci di filamenti di fibra di carbonio sono utilizzati in diversi processi, tra i quali spiccano il rinforzo di materiale plastico, la tessitura dei filamenti e la pultrusione. Il filato di fibra di carbonio viene classificato in base alla sua densità lineare (peso per unità di lunghezza, con 1 g / 1000 m = 1 tex) o in base al numero di filamenti per filato. Per esempio 200 tex per 3000 filamenti di fibra di carbonio sono tre volte resistenti rispetto a 1000 fibre di carbonio, ma anche tre volte più pesanti. Questo filato può essere utilizzato per creare vari tessuti, il cui aspetto dipende generalmente dalla densità lineare del filato e dal tipo di tessitura eseguita. Alcuni tipi di tessuti comunemente utilizzati sono la saia, il raso e la tela.


STAMPA SABBIATRICI -
CARBONIO FIBRA

 

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CARBURO DI TUNGSTENO

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Il carburo di tungsteno è una lega ampiamente utilizzata nell’industria e le sue caratteristiche vengono sfruttate in vari settori. La sua alta capacità di taglio e resistenza ne fanno un’ottima lega per la produzione di utensili da taglio e truciolatura.

Nasce naturalmente con la combinazione tra carbonio e tungsteno, due elementi che miscelati tra di loro sotto forma di polvere devono subire il processo di carburizzazione, con temperature da 1550 a 2500°C. A loro vengono aggiunti elementi come il cromo o il tantalio per evitare la crescita delle polveri, fungendo da inibitori. Dopo di che le polveri formate subiscono 3 passaggi:

Macinazione, per mescolare tra di loro polveri di diversa qualità e creare una miscela omogenea di polveri
Riscaldamento a 100°C con aggiunta di legante (cobalto) per formare una massa solida grazie all’unione dei granelli
Sinterizzazione a 1600°C per consentire al cobalto di fondere, saldare i grani ed eliminare le porosità.

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COMPRESSORE

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Il compressore è una macchina pneumofora che innalza la pressione di un gas mediante l'impiego di energia meccanica.
I compressori possono dividersi in due famiglie: compressori volumetrici e compressori dinamici. Nell'uso comune, si definisce ventilatore un compressore per aria a bassa o bassissima pressione (fino a 10 kPa); questi sono trattati in un articolo apposito. Sono compressori anche alcuni tipi di pompe a vuoto, anche queste trattate in apposito articolo.
Il compressore si distingue in genere dalla pompa in quanto agisce su un fluido definito comprimibile, ossia per il quale valga, almeno approssimativamente, la legge dei gas perfetti (PV = nRT).
Nel seguito viene citato il rapporto di compressione. Questo è definito come rapporto tra la pressione assoluta di mandata e la pressione assoluta di ingresso, in unità coerenti. ed è quindi un numero puro, usualmente espresso in forma frazionaria (ad esempio con 2 : 1 si intende un rapporto di compressione pari a 2).

Compressore a vite


Nel compressore a vite, due viti a passo inverso e di diametro differente imboccano l'una sull'altra, in modo da creare una cavità che progressivamente si sposta dalla zona di aspirazione a quella di mandata, comprimendo così il gas. Rispetto ai compressori alternativi hanno il vantaggio di una meccanica più semplice - il moto è continuo - e quindi minori sollecitazioni meccaniche. Si possono ottenere rapporti di compressione minori, ma comunque elevati (3 : 1 - 4 : 1), ed è comunque possibile porre più stadi in serie. Il rendimento meccanico è superiore agli alternativi, e quindi per applicazioni medio-grandi sono preferibili a questi ultimi.

STAMPA SABBIATRICI - COMPRESSORE

 

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CORROSIONE

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La corrosione è un processo di degradazione e ricomposizione con altri elementi a cui sono soggetti i metalli. Questi si trovano ad un livello energetico maggiore di quello a cui stanno i corrispondenti minerali e, in determinate condizioni ambientali, sono soggetti a corrosione.

Il processo di corrosione avviene secondo diversi meccanismi chimico/fisici.


Corrosione chimica o in ambiente secco
Porta in ferro con evidenti segni di corrosioneÈ una corrosione chimica, che si manifesta quando un metallo è immerso in un'atmosfera gassosa di natura diversa da quella normale (cloro, acidi, ossigeno secco ecc.), oppure uguale ma ad elevata temperatura, le due condizioni si possono avverare contemporaneamente, favorendo così la corrosione. Le condizioni esterne (atmosfera, temperatura ecc.) e la natura del metallo possono creare una sottile pellicola di ossido stabile, dallo spessore di qualche μm, al di sotto della quale prosegue la diffusione dell'ossigeno.
Si ha corrosione puramente chimica quando un metallo è immerso, in assenza di umidità, in un’atmosfera gassosa di natura diversa da quella normale oppure normale ma ad elevata temperatura: le due condizioni si possono verificare contemporaneamente favorendo la corrosione.
Le condizioni esterne e la natura del metallo possono creare una sottile pellicola stabile (passivazione) che cessa non appena sono varcati i limiti dello stato di equilibrio.
La formazione di ossidi di ferro è la conseguenza della permanenza eccessiva di un acciaio a temperatura elevata in un ambiente ossidante.
Durante il raffreddamento in aria si forma un rivestimento fragile costituito da 3 ossidi.
La ruggine è quindi costituita da uno strato di ossidi che non protegge l’acciaio sottostante dal procedere della corrosione perché tale strato è friabile e non sufficientemente aderente. Nel caso di rame o alluminio, l’ossido ha un peso specifico minore del peso specifico del metallo stesso, quindi, a parità di peso l’ossido occupa maggior volume e quindi protegge il materiale sottostante. Nel caso dell’acciaio, invece, l’ossido ha un peso specifico maggiore del peso specifico del metallo stesso, quindi, a parità di peso l’ossido occupa minor volume e si ritira e crea delle crepe dove penetra altro ossigeno che continua il processo corrosivo nella parte sottostante. Pertanto la pellicola di ossido di ferro non può essere considerata protettiva.


Aspetti termodinamici
L'affinità chimica di tutti i metalli, tranne l'oro, per l'ossigeno a temperatura ambiente è positiva e in seguito diminuisce all'aumentare della temperatura. Ne consegue che vi è sempre la tendenza a formare ossidi, più o meno stabili a seconda dell'intervallo di temperatura.
Se poi si considera una lega, si hanno casi diversi:

ossidazione del metallo soluto, se questo ha un'affinità per l'ossigeno maggiore e la diffusione di quest'ultimo nella lega è buona;
ossidazione del metallo solvente: si forma uno strato di ossido del solvente con all'interno particelle del soluto;
ossidazione di entrambi.
serie elettrochimica


Aspetti cinetici
Si considerano qui i fattori che intervengono sulla velocità di accrescimento dello strato di ossido:

rapporto tra il volume dell'ossido che si forma e quello del metallo base ossidato, che determina lo stato del film di ossido: tensionato, in leggera compressione, raggrinzito;
all'aumentare della temperatura diminuisce l'energia liberata dal metallo nel processo di corrosione e quindi l'energia che può passare all'ossigeno molecolare affinché si dissoci in atomico e si leghi agli atomi metallici. In generale, comunque, la velocità aumenta con la temperatura, ma non sempre con andamento lineare; si preferiscono quindi metalli che obbediscono alle leggi logaritmiche e cubiche (alluminio e sue leghe, aggiunte di cromo);
la permeabilità all'ossigeno e la conducibilità elettrica dell'ossido.

Corrosione intercristallina (o intergranulare)
Si manifesta ai bordi dei grani di una soluzione solida, in particolare dell'acciaio inossidabile austenitico o ferritico che sia stato sensibilizzato con un riscaldamento oltre i 500°C.
In queste condizioni infatti si ha la precipitazione dei carburi di cromo, i quali, grazie all'alta temperatura, diffondono verso le zone distorte (i bordi dei grani), dove vi è una maggiore concentrazione di carbonio.
Si crea così una situazione di bordi dei grani ricchi di carburi di cromo, che fungono da catodo, e di matrice circostante con Cr < 12%, non più passivata e quindi fungente da anodo: può così iniziare la corrosione a umido. Una grana fine in questa situazione è controproducente, in quanto una maggiore estensione dei bordi dei grani implica maggiore estensione delle zone sottoposte a corrosione.
Per ridurre tale corrosione è consigliabile attraversare velocemente l'intervallo critico di temperatura (per esempio con raffreddamento in acqua) oppure prolungare il riscaldamento: questo per impedire o favorire la diffusione del cromo. Un'ulteriore soluzione, adottata spesso negli acciai inossidabili austenitici, è aggiungere in lega quantità relativamente piccole di metalli più carburabili del cromo (Ti, Cb o Ta), che, formando i propri carburi, impediscono la carburazione del cromo.
Una soluzione largamente diffusa consiste nel decarburare l'acciaio, portando la percentuale di carbonio al di sotto dello 0,03%, così da limitare la formazione di carburi di cromo; questi materiali sono contraddistinti dalla sigla "L" (Low Carbon).


Corrosione galvanica o elettrochimica o in ambiente umido
Il fenomeno della corrosione galvanica o elettrochimica si ha quando due materiali di diverso potenziale elettrico (nobiltà differente), vengono posti a diretto contatto tra di loro, in presenza di un terzo elemento (elettrolito).
Le reazione che avvengono durante il processo di corrosione sono tutte redox.
In questa situazione si genera un flusso di elettroni dal materiale meno nobile (avente potenziale maggiore), denominato anodo o polo positivo che si ossida, verso quello più nobile avente potenziale minore, denominato catodo o polo negativo che si riduce.
Pertanto si riscontra un aumento della velocità di corrosione del materiale meno nobile (per esempio zinco, ferro, nichel) e una diminuzione della velocità dell’attacco corrosivo del materiale più nobile (per esempio rame, argento, acciaio inox).
I concetti alla base della corrosione per contatto galvanico di metalli possono essere estesi anche agli accoppiamenti di metalli e leghe con materiali da loro differenti, quali ossidi e solfuri, purché dotati di conducibilità elettronica (per esempio magnetite, solfuri di rame e ferro, grafite).
L'entità della corrosione dipende:

dalla diffferenza di potenziale che si crea tra i due elementi e che è tanto più grande quanto più distanti sono gli elementi stessi nella scala dei poteziali standard (scala galvanica o nobiltà);
dalla quantità di ossigeno presente nell'ambiente;
dal rapporto tra la superficie complessiva dei due metalli e qualla del metallo meno nobile.

La nobiltà relativa dei diversi materiali metallici non risulta essere univocamente definita dai valori termodinamici riportati nella serie elettrochimica dei potenziali di equilibrio di ossidoriduzione per le reazioni di ionizzazione dei vari metalli.
È necessario, infatti, conoscere anche i valori dei potenziali che i diversi materiali assumono una volta immersi in ambienti aggressivi “reali”, stabilendo in questo modo delle serie galvaniche “pratiche”, relative al comportamento dei vari materiali metallici qualora vengano accoppiati nei differenti ambienti in esame.
La nobiltà di un materiale metallico può infatti variare in un ampio intervallo di potenziale in dipendenza delle condizioni sia dell’ambiente (composizione, valore di pH, temperatura, presenza o assenza di condizioni di scambio termico, agitazione,…) che del materiale metallico (passività a seguito della presenza di film superficiali protettivi o attività quando la superficie metallica è direttamente a contatto con il mezzo aggressivo).
In termini applicativi, la realizzazione di accoppiamenti di materiali prossimi tra loro nelle serie galvaniche dovrà essere considerata favorevole, risultando questi materiali tra loro “galvanicamente compatibili”, mentre dovrà essere il più possibile evitato l’impiego di materiali tra loro lontani nella serie galvanica d’interesse.

Nel processo di corrosione per contatto, in qualche caso può verificarsi un’inversione di polarità della coppia per cui il materiale inizialmente si comporta da catodo e viceversa.
Un esempio classico è quello della coppia Zn-Fe in acque naturali a temperatura elevata; lo zinco, metallo meno nobile e inizialmente anodico rispetto al ferro, a seguito della formazione di un film passivante stabile di ossido di zinco dotato di conducibilità elettronica, assumerà nel tempo un comportamento catodico rispetto al ferro.
Tra i fattori che regolano la corrosione per contatto va ricordata la conducibilità elettrica dell’ambiente aggressivo. Infatti, nei mezzi dotati di elevata conducibilità l’attacco è intenso e si fa sentire a distanze elevate, mentre in ambienti con alta resistività la corrosione risulta limitata alla zona anodica in prossimità della giunzione con l’area catodica. Per tale motivo questo tipo di corrosione risulta particolarmente grave in acque di mare ma non in acque dolci che hanno una conducibilità di almeno due ordini di grandezza più bassa.
Un altro fattore importante nella regolazione della corrosione galvanica è rappresentato dal rapporto tra le aree catodiche e quelle anodiche; le condizioni più sfavorevoli si realizzano quando l’area anodica è piccola rispetto a quella catodica, in quanto l’attacco corrosivo si concentra sull’area limitata. Un esempio tipico può essere l’impiego di elementi di giunzione in ferro (chiodi o viti) su strutture in rame.
La prevenzione o il contenimento della corrosione per contatto possono essere realizzati evitando il contatto tra materiali di nobiltà molto diversa o isolando tra loro, ove possibile, materiali metallici differenti. Anche l’impiego di rivestimenti protettivi o di inibitori può ridurre il rischio di corrosione per contatto. Qualora sia impossibile evitare l’impiego di una coppia di materiali metallici tra loro non compatibili, si può ampliare la catena galvanica, introducendo un terzo metallo, meno nobile di quelli costituenti la coppia, agente quindi come anodo sacrificabile.

Nobiltà dei metalli
I metalli sono caratterizzati da una loro nobiltà, che indica la maggiore o minor facilità dei materiali a cedere un certo numero di elettroni.

I metalli più nobili (rame, argento, ecc) cedono più difficilmente gli elettroni che non i metalli meno nobili (ferro, zinco, ecc.).

Dal punto di vista puramente qualitativo qui di seguito viene riportata la scala galvanica (riferita all'elettrodo ad idrogeno) dei più comuni metalli e leghe (partendo dal meno nobile):

Litio
Sodio
Magnesio
Titanio
Alluminio
Manganese
Zinco
Cromo
Ferro - (Acciaio al carbonio, Ghisa)
Cadmio
Nichel
Stagno
Piombo
Rame
Acciaio inox
Argento
Mercurio
Platino
Oro


Corrosione del ferro e delle sue leghe (acciao e ghisa)
La condizione necessaria affinchè si manifesti la corrosione elettrochimica del ferro, a temperatura normale, è che il manufatto si trovi in presenza di acqua e ossigeno.
In un metallo X isolato, immerso in una soluzione acquosa, avviene naturalmente la seguente reazione:

X → Xn+ + ne-

Questo significa che X ha la tendenza a far passare in soluzione alcuni atomi diposti sulla sua superficie sotto forma di ioni Xn+.
Poichè gli ioni che passano in soluzione lasciano nel metallo i loro elettroni più esterni ne-, il metallo stesso si carica negativamente.
In questa situazione alcuni ioni Xn+ verranno attratti dal metallo e si ridepositeranno sulla sua superficie in forma metallica secondo la reazione:

Xn+ + ne- → X

Quando le due reazioni raggiungono la stessa velocità si ha un equilibrio dinamico, cioè il numero di atomi che lasciano il metallo è uguale al numero di ioni che si ridepositano su questo.
A questo punto Il metallo assumerà un determinato potenziale elettrico (potenziale di ossidoriduzione).
Qualora, in presenza di un elettrolito, due metalli (o parti dello stesso metallo) a diverso potenziale vengono messi a contatto, si forma una cella galvanica o pila.
Il suddetto processo dipende dalla natura chimico-fisico del metallo e dal tipo di ambinete in cui è immerso.
Sulla superficie dei manufatti in acciaio, a causa delle lavorazioni subite, vi sono sempre zone o punti che differiscono tra loro fisicamente o chimicamente e che pertanto hanno un diverso potenziale; .
Tra due di questi punti, nonostante la differenza di potenziale (ΔE), non vi è però passaggio di corrente se l'ambiente è secco, anche in presenza di ossigeno, non potendosi realizzare un conduttore ionico.
Se invece sulla superficie del manufatto si deposita uno strato di acqua o un leggero velo di umidità, normalmente contenuta nell'atmosfera, tra i due punti con differenza di potenziale si vengono a costituire miriadi di minuscole pile, poichè:

si genera un circuito ionico che si effettua nel velo di acqua o umidità (conduttore di seconda specie)
si genera un circuito elettronico che si effettua nel ferro (conduttore di prima specie).

L'acqua infatti a causa del suo carattere anfotero è debolmente dissociata in ioni idrogeno H+ e ossidrili OH-:

H2O → H+ + OH-.

Pertanto, anche se l'acqua è purissima, presenta una piccola ma misurabile conducibilità elettrica.
Per quanto sopra la corrosione nel ferro segue il seguente processo.
Nella zona anodica, il ferro passa in soluzione cedendo all'acqua o al velo di umidità, lo ione Fe++ e liberando nel contempo degli elettroni:

2Fe → 2Fe++ + 4e-.

Gli elettroni liberati dagli atomi di ferro in corrispondenza dell'anodo, migrano attraverso il metallo (circuito elettronico) al catodo, dove reagiscono con gli ioni idrogeno H+ provienienti dal circuito ionico:

4H+ + 2e- → 2H2

Questo ha un duplice effetto:

in primo luogo, venendo meno ioni idorgeno nel velo d'acqua aumenta la concetrazioni di ioni ossidrilli OH- e pertanto l'area catodica diviene alcalina
in secondo luogo, la formazione di gas idrogeno tende a polarizzare ed inibire ulteriori reazioni. Il mantello gassoso che si forma rallenta l'avvicinamento di molti ioni idrogeno verso la zona catodica e ostacola la fuga di nuovi elettroni da essa.
A questo punti interviene l'ossigeno presente nell'acqua o nel velo di umidità reagendo con il gas idrogeno, con formazione di acqua, che depolarizza il catodo:

2H2 +O2 → 2H2O.

Nel contempo nella zona anodica gli ioni ossidrili provenienti dal catodo attraverso il circuito ionico, incontrano gli ioni ferrosi Fe++ che si diffondono dall'anodo nell'acqua o nel velo di umidità, con formazioni di idrato ferroso:

2Fe++ + 4OH- → 2Fe(OH)2

In presenza di sufficiente ossigeno nella zona anodica, lo ione ferroso viene ossidato a ione ferrico con formazione di ossido ferrico idrato ( che costituisce chimicamente la ruggine), poco solubile, che precipita sul metallo:

2Fe(OH)2 +½O2 →Fe2O3.nH2O + H2O.

Data la tendenza degli ioni ferrosi a diffondersi dall'anodo prima di combinarsi e formare la ruggine, questa depositatasi sulla superficie del manufatto in ferro, si presenta come un prodotto spugnoso con labile adesione sul metallo all'anodo.
Pertanto la sua azione protettiva (passivazione) non è sufficiente a inibire od arrestare il processo corrosivo come avverrebbe se i prodotti dell'ossidazione fossero perfettamente aderenti e compatti.
La continua perdita di metallo all'anodo può verificare profonde cavità e persino la perforazione dello stesso elemento in acciaio.
Quanto su detto vale per l'azione dell'acqua e dell'ossigeno sulla corrosione dell'acciaio.
Nel caso si è in presena di elettroliti, il processo di corrosione è accelerato.
questo avviene per esempio in atmosfera marina o in acqua di mare.
In questa situazione resta valido il meccanismo visto precedentemente, ma gli ioni ferrosi che si diffondono dall'anodo si combinano più facilmente con gli ioni cloro prodotti dalla dissociazione elettrolitica del cloruro di sodio nell'acqua o nel velo di umidità, formando cloruro ferroso:

4NaCl → 4Na+ + 4Cl-
2Fe++ + 4Cl- → 2FeCl2.

Contemporaneamente nella zona catodica gli ioni sodio si combinano con gli ioni ossidrilli (OH-) formando idrato di sodio: 4Na+ +4OH- → 4NaOH.
La successiva reazione tra cloruro ferroso, idrato di sodio e l'ossigeno, presente nell'acqua o nel velo d'umidità, determina la formazione di ossido ferrico:

4FeCl2 + NaOH + O2 → 2Fe2O3 + 8NaCl + 4H2O

Poichè anche in questa caso sia il cloruro ferroso che l'idrato sodico sono molto solubili, diffondendosi nel circuito ionico sia nella zona anodica che catodica, la ruggine che desposita sulla superficie del materiale ferroso risulta ancora molto spugnosa e molto labile e pertanto non riesce a passivare il metallo.
Inoltre il processo di corrosione è ulteriormente facilitato dalla rigenerazione del cloruro di sodio.


Metodi di protezione dalla corrosione
Per arrestare la corrosione si possono utilizzare una protezione di tipo passivo e/o di tipo attivo.
Nel primo caso la protezione serve ad isolare la superficie del metallo dall'ambiente esterno mediante il suo rivestimento (previo accurata pulizia della stessa) con ad esempio:

un film di pittura protettiva;
manti a base di polietilene o bitume, frequentemente usati come rivestimento esterno delle tubazioni in acciaio interrate.

prodotti di ossidazione ottenuti ad esempio mediante l'ossidazione anodica, utilizzata per metalli come l'alluminio, il nichel o il cobalto. Gli ossidi di questi materiali sono molto tenaci ed aderenti allo strato superficiale e pertanto passivano il metallo.

metalli meno nobili, quali lo zinco. In questo caso si parla della zincatura, usata per proteggere il ferro, effettuata immergendo il metallo, in un bagno fuso di zinco. In questo caso, poichè lo zinco è più riducente del ferro, anche se un parte della superficie ferrosa rimane scoperta, l'ossidazione procede sullo zinco (con formazione di ruggine bianca costituita prevalentemente da idrossido di zinco e in minima parte da ossido e carbonato)e il ferro rimane protetto fino a quando non è stato consumato tutto lo zinco.

metalli più nobili, quali il cromo. In questo caso si parla di cromatura che viene utilizzata per proteggere i manufatti di ferro. Il rivestimento della superficie del ferro avviene per lo più per via elettrolitica.

Le protezioni attive sono chiamate protezioni catodiche e sono uilizzate per eliminare i fenomemi di corrosione dei manufatti di ferro interrati.
Si possono distinguer due tipologie di protezioni catodiche:

a corrente impressa: consiste nell'applicare dall'esterno una fem contraria, ossia collegare il manufatto al polo negativo di un generatore esterno il cui polo positivo è a sua volta collegato ad un elettrodo inerte (esempio grafite) interrato in prossimità del manufatto. L'umidità del terreno funge da elettrolita.
ad anodo sacrificale o ad accoppiamento galvanico: consiste nel collegare direttamente il maufatto in ferro ad un elettrodo interrato costituito da un metallo meno nobile (più riducente) del ferro stesso, quali lo zinco o il magnesio. Si viene a creare una cella galvanica in cui il ferro funge da catodo e l'elettrodo da anodo che di conseguenza si corrode preservando così l'integrità del manufatto in ferro fino a quando l'anodo non si consuma completamente.

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CROMATURA

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La cromatura è un rivestimento di cromo su un manufatto di ferro o acciaio per proteggerlo.

Procedimento
La cromatura può essere effettuata in vari modi:

Procedimento galvanico
Cromatura a spessore ottenuta tramite processo galvanico, per ridare un determinato spessore ad un oggetto, sempre di ferro o acciaio, consumatosi durante l'utilizzo e rendendolo idoneo al reimpiego, sfruttando le caratteristiche di durezza del cromo, previa rettifica del pezzo stesso.
Questo procedimento é utilizzato ad esempio, negli inserti mobili degli stampi per l'estrusione dell'argilla, nell'industria laterizia, che si consumano per il continuo sfregamento con l'impasto di terra estruso ad alte pressioni.
Il processo di cromatura tradizionale (in uso nel campo dell'arredamento) prevede l'immersione del pezzo da cromare in una serie di bagni. In una prima serie di questi il pezzo viene sgrassato e pulito perfettamente. Tra questi si ricordano i principali: soluzione elettrolitica di soda caustica, soluzione elettrolitica di acido cloridrico con relativi bagni di lavaggio. Il bagno principale (dove il pezzo sosta più a lungo) è quello della soluzione elettrolitica di nichel. Nei fatti, prima del riporto di cromo, è importante creare uno strato di nichel che uniforma il più possibile la superficie metallica a livello microscopico. Dopo un ulteriore lavaggio avviene l'immersione nella vasca della soluzione elettrolitica del cromo. Negli ultimi anni, oltre al cromo esavalente, si usa sempre di più il cromo trivalente, definito 'ecologico'. Esiste poi la cromatura satinata (opaca) per la quale il processo è simile tranne che per l'ultimo bagno dove, con l'uso di particolari olii, si creano delle microbolle uniformemente distribuite sulla superficie del pezzo che danno il caratteristico aspetto opaco alla superficie stessa.

Vantaggi
Riduzione della corrosione, esso infatti avendo un potenziale meno elettronegativo dell'acciaio limita la formazione di micropile all'azione anodica molto modesta dei giunti dei grani.
Indurimento superficiale del materiale il cromo essendo un metallo molto duro viene usato su elementi che devono resistere a forti usure, come le forcelle, inoltre questo fino ai anni '50 è stato usato per rivestire i cilindri in alluminio dei motori, ma poi è stato sostituito da Ni-Kasil perché risultò ancora migliore e perché non tende a sfogliarsi quando si usura.

Svantaggi
In caso di rotture o porosità del film protettivo, il metallo sottostante si corrode in maniera localizzata e molto intensa (si ricordi, per esempio, la degradazione di molte parti metalliche cromate nelle automobili con qualche decennio di vita).
Resta fondamentale, di conseguenza, un adeguato spessore della cromatura, il cui valore minimo dipende dal metallo da proteggere, dalle condizioni ambientali e da fattori economici.
Insorgere di tensioni residue di trazione sulla superficie del materiale base, ciò può portare a degradare le qualità meccaniche del materiale nella vita a fatica o peggio ancora la possibilità di innescare fenomeni auto-esaltanti di corrosione e fatica.

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EFFETTO VENTURI


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L'effetto Venturi (o paradosso idrodinamico) è il fenomeno fisico, scoperto e studiato dal fisico Giovanni Battista Venturi, per cui la pressione di una corrente fluida aumenta con il diminuire della velocità.

È possibile studiare la variazione di pressione di un liquido in un condotto, inserendo dei tubi manometrici. L'esperimento dimostra che il liquido raggiunge nei tubi altezze diverse: minore dove la sezione si rimpicciolisce (in cui aumenta la velocità) e maggiore quando la sezione si allarga (ovvero quando la velocità diminuisce). Dato che la pressione del liquido aumenta all'aumentare dell'altezza raggiunta dal liquido nei tubi manometrici, è possibile dire che ad un aumento della velocità corrisponde una diminuzione della pressione e viceversa, cioè all'aumento della pressione corrisponde una diminuzione della velocità.

Con esperimenti appropriati, è possibile notare lo stesso fenomeno nei gas.

Esempio di diminuzione della pressione in un tratto di condotta che presenta una strozzaturaConsideriamo una generica condotta che presenti una diminuzione della sua sezione e chiamiamo A1 l'area maggiore e A2 l'area minore. Dall'equazione di continuità applicata alla fluidodinamica sappiamo che la portata entrante nella prima sezione deve essere esattamente uguale a quella passante per la seconda. Da ciò, poiché la portata può essere espressa come prodotto della velocità del fluido per la sezione in cui passa, sappiamo che c'è un aumento di velocità nella sezione A2 rispetto a quella in A1 (v1 < v2).

Sulla base di queste considerazioni, supponendo che non esista una differenza di quota tra le due sezioni, è possibile utilizzare come sistema di riferimento per le altezze l'asse della condotta, eliminando in questo modo un termine nell'equazione di Bernoulli, che si presenterà in questa forma:

con ρ=densità; p=pressione; v=velocità del flusso.

Si può notare, quindi, che all'aumentare della velocità del fluido si crea necessariamente una diminuzione della pressione interna al fluido stesso. Nel caso del nostro esempio, cioè, la pressione p2 risulterà essere minore della pressione p1.


Il paradosso idrodinamico


Effetto VenturiL'Effetto Venturi viene anche chiamato paradosso idrodinamico poiché si può pensare che la pressione aumenti in corrispondenza delle strozzature; tuttavia, per la legge della portata, la velocità aumenta in corrispondenza delle strozzature. Quindi se abbiamo un tubo che finisce contro una piastra come in figura e il fluido ha una pressione leggermente superiore alla pressione atmosferica, l'aumento di velocità che la strozzatura crea tra tubo e piastra farà aumentare la velocità a scapito della pressione del fluido. Se la pressione scende al di sotto della pressione atmosferica, la piastra tenderà a chiudere il tubo anziché volare via. Da questo nasce il par
adosso idrodinamico che è una conseguenza della Legge di Bernoulli.

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ELETTROEROSIONE

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L'elettroerosione è una tecnologia di lavorazione ad asportazione di truciolo che utilizza le capacità erosive delle scariche elettriche. Per la particolarità del principio, questa tecnologia è in grado di lavorare solo materiali fortemente conduttori; essenzialmente i metalli.

Le macchine utensili realizzate per eseguire questo tipo di lavorazione vengono chiamate 'macchine per elettroerosione', o in inglese EDM (Electro Discharge Machining).

Inventata casualmente dai coniugi sovietici Lazarenko nel 1943, durante esperimenti sull'usura dei contatti elettrici. Immergendo i contatti per diminuirne l'usura in un bagno d'olio ottennero l'effetto contrario. L'elettroerosione ha subito un forte impulso solo con lo sviluppo dell'elettronica. Per le sue caratteristiche peculiari, oggi è una tecnologia di uso comune nell'industria, e addirittura necessaria nella produzione stampi (in particolar modo per componenti in plastica).

Una delle aziende che ha maggiormente contribuito nello sviluppo di questa tecnica è l'AGIE di Losone in Svizzera fondata nel 1954, con oltre 50 anni di storia nel settore e oltre un migliaio di brevetti. Ancor oggi leader nel settore.

Nel corso degli anni i processi si sdoppiarono tra elettroerosione a tuffo (EDM) e elettroerosione a filo (WEDM)


Caratteristiche della lavorazione
Le principali caratteristiche della lavorazione per elettroerosione sono:

Possibilità di lavorare metalli molto duri (acciai speciali, acciai rapidi, metalli duri, ecc...), o induriti con trattamenti termici o chimici (temprati, carburati, ecc...). Infatti, la durezza del materiale da lavorare ha un'influenza secondaria per quanto riguarda la velocità d'asportazione o l'energia da utilizzare nella lavorazione.
Possibilità di lavorare il pezzo creandovi qualsiasi figura geometrica o volumetrica. Ciò è dovuto alla particolarità che l'elettroerosione non necessita di un utensile rotante. È possibile ottenere spigoli netti, creare nervature e cavità con forme o profili impossibili da realizzare con altre tecnologie.
Velocità di lavorazione molto lenta rispetto alle altre tecnologie ad asportazione di truciolo.
Elevata usura relativa dell'utensile. Un valore tipico può essere 1-5%; cioè l'usura di 1-5 mm-cubi di utensile ogni 100 mm-cubi di materiale asportato.
Le superfici lavorate presentano sempre un certo grado di rugosità (più o meno pronunciato, a seconda del grado di finitura). Questo è dovuto alla creazione di micro-crateri che sono il risultato dell'azione elettroerosiva (vedi sotto principio fisico).

Funzionamento
L'azione di lavorazione si attua avvicinando un utensile (definito elettrodo) al materiale da lavorare (definito pezzo), il tutto in un ambiente riempito da un dielettrico liquido. L'elettrodo viene alimentato con polarità positiva rispetto al pezzo, in quanto il materiale caricato negativamente subisce un'erosione superiore. Quando elettrodo e pezzo sono sufficientemente vicini, tra i due si innescano delle scariche che erodono il pezzo in modo complementare rispetto alla forma dell'elettrodo. La scelta del materiale dell'elettrodo e il controllo delle caratteristiche delle scariche permettono di ottenere un forte squilibrio tra l'erosione dell'elettrodo (usura dell'utensile) e erosione del pezzo (lavorazione), a favore di quest'ultimo. Man mano che il pezzo viene eroso, l'elettrodo viene fatto avanzare, fino al completamento della lavorazione. Durante la lavorazione, l'elettrodo non entra mai in contatto con il pezzo, in quanto una cosa simile crea un cortocircuito che impedisce la creazione della scintilla.

Eccezionalmente, può essere applicata una polarità invertita rispetto a quanto precedentemente detto: ovvero applicare all'elettrodo una polarità negativa rispetto al pezzo. Questo avviene per lavorazioni particolari, come accoppiamenti di semistampi (dove l'erosione viene equiripartita tra i due elementi) o forature tramite elettroerosione (dove l'elettrodo viene totalmente consumato).

Nella lavorazione non vengono creati normali trucioli: i residui della lavorazione vengono chiamati sfridi e assumono l'aspetto di microscopiche palline di metallo che si disperdono nel dielettrico.

La presenza di un dielettrico è fondamentale per la funzionalità della tecnologia, ed assolve vari scopi:

permette il controllo della localizzazione della scintilla; fornisce ioni per la generazione della scarica; rimuove gli sfridi di lavorazione; raffredda elettrodo e pezzo.
Perché la tecnologia possa funzionare correttamente, è necessario il controllo delle caratteristiche delle scintille. Infatti la scarica non è generata in maniera continua, ma consiste in una successione di micro-scariche prodotte da appositi dispositivi elettronici in grado di generare treni di impulsi controllati. I principali parametri elettrici controllati sono:

tensione d'innesco; tipicamente alcune centinaia di volt.
polarità; normalmente elettrodo positivo e pezzo negativo.
corrente massima della scintilla; compresa tra 1 e 500 ampere.
durata della scintilla; compresa tra 1 micro-secondo e 2 milli-secondi.
pausa tra una scintilla e la successiva, compresa tra 1 e 30 micro-secondi.

Principio fisico
L'elettroerosione lavora sulla capacità termomeccanica delle scariche elettriche di erodere i materiali.

L'azione erosiva delle scariche si può dividere in fasi:

Applicazione tra elettrodo e pezzo di una forte tensione. In questa fase si crea un forte campo elettrico tra i due punti a minor distanza relativa (a minor distanza elettrodo/pezzo).
Rottura del dielettrico e apertura di un canale di scarica. In questa fase il forte campo elettrico accelera alcuni elettroni del pezzo che attraversano il dielettrico, questo genera un effetto valanga che rompe l'isolamento del dielettrico proprio in corrispondenza del punto dove il campo elettrico è più elevato. Si crea così un canale a bassa resistenza dove la corrente elettrica può passare.
Allargamento del canale di scarica e fusione del materiale. L'urto degli elettroni accelerati con le molecole di dielettrico, generano ulteriori elettroni liberi e ioni positivi che fungono da portatori di carica e vengono accelerati dal campo elettrico; conseguentemente si crea una canale di plasma ad altissima temperatura (migliaia di gradi) in grado di condurre molta corrente elettrica. Con il persistere della corrente di scarica, il canale tende ad allargarsi intorno al punto iniziale. Le aree dell'elettrodo e del pezzo a diretto contatto con il canale di plasma, sottoposte al bombardamento dei portatori di carica e alle alte temperature del canale, si fondono, creando dei piccoli crateri di materiale fuso.
Interruzione della scarica e implosione del canale di scarica. Interrompendo la corrente, il canale di plasma, non più alimentato da fonti di energia esterne, implode.
Espulsione del materiale dal cratere. Venendo improvvisamente a mancare la pressione sulla superficie del cratere, il materiale fuso viene risucchiato fuori, lasciando il cratere vuoto. Il materiale fuoriuscito si raffredda, solidificandosi in minuscole palline (sfridi).

Applicazioni
L'elettroerosione si può dividere in sottotipi a seconda dell'applicazione:

elettroerosione a tuffo; in questa applicazione la lavorazione ha come scopo principale lavorare il pezzo facendogli assumere una forma complementare rispetto all'elettrodo.
Il ciclo di lavorazione va' diviso in due fasi:

creazione di un elettrodo di forma 'negativa' rispetto alla forma della lavorazione che si vuole ottenere;
elettroerosione del pezzo con l'elettrodo precedentemente creato, ottenendo così in 'positivo' la forma voluta.
elettroerosione a filo; in questa applicazione, un filo conduttore teso è usato come elettrodo per tagliare o profilare il pezzo da lavorare.
Il filo (immagazzinato in una bobina) viene cambiato di continuo durante la lavorazione, in quanto, essendo sottoposto all'usura delle scariche e allo stress di dilatazione, finirebbe per spezzarsi spesso, interrompendo la lavorazione.

foratura per elettroerosione; in questa applicazione un tubo viene usato come elettrodo per forare il pezzo.
Vengono usati tubi (generalmente di piccolo diametro) in quanto attraverso essi viene pompato del dielettrico, necessario per asportare gli sfridi dal fondo della foratura.

molatura per elettroerosione; in questa applicazione una mola di materiale conduttore erode il pezzo, in modo analogo ad una mola ad abrasione.
Un esempio d'uso di questa tipologia di tecnica, è quello dell'affilatura di lame con denti di Widia o diamante sinterizzato, materiali di cui è difficoltosa (e costosa) la molatura con tecniche abrasive tradizionali.


Elettrodi
Uno degli "attori" principali della lavorazione per elettroerosione è l'elettrodo. Nella lavorazione "a tuffo" il risultato della medesima è un negativo della forma dell'elettrodo; mentre nella lavorazione "a filo", l'elettrodo si comporta come un seghetto, tagliando il pezzo.

Come già accennato, perché si possa fare una lavorazione utile, è necessario ridurre l'usura al minimo. Per far ciò, oltre al controllo dei parametri elettrici, è necessario partire da una corretta scelta del materiale dell'elettrodo.


Materiale per elettrodi EDM
Per la lavorazione "a tuffo" bisogna cercare un materiale che:

resista alle scariche;
sia facilmente lavorabile;
sia di costi contenuti.
Gli ultimi due aspetti sono particolarmente importanti nella lavorazione a tuffo, in quanto la lavorazione che si vuole ottenere richiede la realizzazione di una sua esatta copia-elettrodo in negativo. In casi estremi, con realizzazioni di stampi per plance o scocche plastiche, potrebbe essere necessario realizzare elettrodi sagomati e/o alettati di centinaia di chili.

L'esperienza ha portato alla diffusione di due tipi di materiale: la grafite e il rame.

La grafite resiste bene alle scariche (per via dell'alto punto di fusione), è relativamente facile da lavorare e costa poco. Di contro, la grafite durante la lavorazione di parti sottili (alette, nervature, ecc..) tende a scheggiarsi, inoltre le scariche tendono a rovinarne la superficie, impedendo di realizzare superfici ben finite (cioè con bassa rugosità).

Anche il rame resiste abbastanza bene alle scariche (la sua alta conducibilità termica tende a dissipare il calore delle scariche), si può lavorare molto facilmente (permettendo di realizzare particolari estremamente fini) e le scariche rovinano poco la sua superficie, permettendo lavorazioni particolarmente rifinite (in qualche caso sino alla lucidatura). Di contro, il rame non resiste altrettanto bene con alte correnti di scarica (tipiche della lavorazione di sgrossatura) e ovviamente è un materiale costoso.

Quando possibile, si consiglia così di realizzare due elettrodi: un elettrodo di grafite per le lavorazioni di "sgrossatura" e un elettrodo in rame per la lavorazione di "finitura".

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FRESATURA

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La fresatura è una lavorazione meccanica a freddo per asportazione di truciolo, che permette di realizzare un pezzo finito, la cui forma è stata definita a progetto, partendo da un pezzo grezzo di metallo e asportando il materiale in eccesso, che è detto sovrametallo. Per poter realizzare il pezzo finito è necessario che questo possa essere inscritto nel pezzo di partenza da cui verrà asportato il sovrametallo.


Descrizione
La lavorazione viene effettuata mediante utensili detti frese, montate su macchine utensili quali fresatrici o fresalesatrici.
La fresatura, a differenza di altre lavorazioni più semplici, richiede la rotazione dell'utensile e la traslazione del pezzo: i taglienti della fresa, ruotando, asportano metallo dal pezzo quando questo viene a trovarsi in interferenza con la fresa a causa della traslazione del banco su cui il pezzo è ancorato.
Il ciclo lavorativo prevede normalmente una prima fase di sgrossatura, in cui l'asportazione viene fatta nel modo più rapido e quindi più economico possibile, lasciando un sufficiente sovrametallo per la successiva fase di finitura in cui si asportano le ultime parti eccedenti per raggiungere le dimensioni previste ottenendo una superficie più liscia. La finitura, che consiste in una asportazione limitata di metallo, consente di rispettare il progetto per quanto riguarda le tolleranze delle dimensioni e il grado di rugosità delle superfici.



I parametri
I principali parametri di lavoro della fresatura sono la velocità di taglio, da cui si ricava la velocità di rotazione della fresa, e l'avanzamento del pezzo:

La velocità di taglio dipende dal materiale di cui è composta la fresa (o gli inserti che ne costituiscono i taglienti) e dalla durezza del materiale da lavorare. Per lavorare acciaio dolce (carico di rottura 490 N/mm2) le frese odierne fatte in Widia possono lavorare a velocità di taglio di 140 m/min, o fino a 200 m/min se dotate di ricoperture quali nitruro di titanio, la velocità va ridotta per lavorare materiali più duri. La velocità di rotazione (n) della fresa, in giri/min, si calcola dividendo la velocità di taglio (vc*) (moltiplicata 1000) per la circonferenza della fresa in mm (diametro Ø per 3,14):



L'avanzamento si calcola moltiplicando il numero di taglienti (z) per l'avanzamento per singolo tagliente (fz*), per velocità di rotazione della fresa (n):


.
L'avanzamento per singolo tagliente è di norma 2/10 mm, per taglienti a taglio perpendicolare al pezzo, può essere aumentato per taglienti con geometria di taglio inferiore ai 90°. Da ciò si capisce che l'avanzamento dipende dalla geometria dei taglienti e dalla loro densità, infatti frese con più taglienti ma di diametro maggiore devono girare più piano, quindi z aumenta ma n diminuisce.
Tuttavia la densità dei taglienti, cioè il loro numero a parità di circonferenza della fresa, dipende dal materiale da lavorare, in particolare dal tipo di truciolo che produce: se si lavora l'alluminio la densità sarà bassa per poter scaricare i trucioli che sono lunghi e tendono ad aggrovigliarsi; la densità sarà media per l'acciaio, mentre sarà maggiore per la ghisa che produce trucioli in forma di polvere.

I parametri di lavoro sono indicati secondo la simbologia ISO:

vc*(c* peduncolo) = velocità di taglio (m/min)
z = numero dei denti
n = velocità di rotazione (giri/min)
fz* = avanzamento al dente (mm/dente)
fn* = avanzamento al giro (fz* x z - mm/giro)
vf* = avanzamento al minuto (fz* x z x n; Oppure fn* x n - mm/min)

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